Mentre aspetto che sia la linea a casa che il pc vengano ripristinati vi offro una traduzione interessante trovata su luccioleonline.
Affronta la differenza tra sex worker e sfruttate vista da una cultura che si è andata commistionando alla nostra dagli inizi del 900 e subendo un' accelerazione dopo la seconda guerra mondiale, gli Stati Uniti d'America.
Nel giorno precedente il Super Bowl di quest’anno, articoli circolati sulla Rete segnalavano il massiccio aumento di traffico sessuale che si verifica in occasione dei grandi eventi sportivi, che questa tendenza sia o meno reale, la tratta è un problema serio.
Quarantacinque persone sono state arrestate a New York durante il Super
Bowl per aver costretto più di una dozzina di ragazze alla schiavitù
sessuale. Seppure queste ragazze sono state vittime di sfruttamento
sessuale, alcune agenzie di stampa hanno distorto la realtà riferendosi a
loro come “sex worker” e “prostitute minorenni”; in un altro recente
articolo su di una vittima di tratta di circa 15 anni, l’emittente CBC
Canada ha definito la ragazza “una sex worker adolescente”.
Queste scelte lessicali sono fuorvianti, sebbene sia convinta che
spesso le persone danno troppa importanza alle etichette, la
distinzione tra una persona adulta che sceglie di vendere sesso per
denaro e un’altra il cui corpo è sfruttato contro la propria volontà è
fondamentale quando si discute di prostituzione, schiavitù, e libertà.
La capacità di fare scelte e decidere del proprio destino è sempre più
accettata, e i media distorcono il valore della scelta quando usano “sex
worker” in modo intercambiabile con “vittima di tratta”.
Pertanto
è ovvio che la tratta sia una pratica spaventosa. I trafficanti
infliggono danni terribili alle proprie vittime – molte delle quali sono
incredibilmente giovani e già patiscono la mancanza di sostegno
familiare – nei loro anni di formazione e le sottopongono ad abusi,
costringendole a correre rischi gravi per la propria salute e
derubandole di qualsiasi autostima al di fuori del valore monetario che
hanno per i propri “padroni”.
E’ giusto provare
repulsione per i pericoli e le brutalità del traffico di esseri umani, ma è la rinuncia forzata al proprio libero arbitrio di persone ad essere
forse l’aspetto più ripugnante della schiavitù sessuale – anzi, di ogni
schiavitù.
Alcuni gruppi anti-prostituzione
confondono o ignorano la distinzione tra lavoratrici volontarie e
vittime di coercizione. Considerano il lavoro sessuale come
intrinsecamente foriero di sfruttamento, poiché lo reputano una
professione degradante che richiede alle persone di mercificare il
proprio corpo e che le sottopone a maggiori rischi per la salute. La
decisione di vendere sesso non sarebbe mai, quindi, una scelta informata
per queste persone, ma imposta loro da circostanze finanziarie
restrittive o come reazione auto-distruttiva a seguito di trauma
infantili.
Prima
di tutto, se davvero le donne decidono di diventare sex worker per
l’assenza di altre opzioni, togliere loro quell’unica opzione come
potrebbe essere un beneficio? Se le/gli attivist* anti-prostituzione
fossero davvero preoccupat* delle scelte limitate che si offrono alle
sex worker, dovrebbero a quel punto combattere le leggi oppressive che
impediscono alle persone di perseguire altri percorsi imprenditoriali.
A quel punto, se
nuove opzioni divenissero disponibili e alcune persone scegliessero
ancora di lavorare nell’industria del sesso non si potrebbe più
affermare che il lavoro sessuale è una professione illegittima scelta
per disperazione. Dovremmo davvero dubitare di qualsiasi
gruppo che affermi di promuovere l’indipendenza delle donne e
contemporaneamente sostenga che alcune donne sono incapaci di fare
scelte informate.
Sì; molte delle decisioni che prendiamo sono
influenzate dal nostro passato e a volte vanno a nostro discapito, ma
non siamo vittime delle nostre scelte. Contraddice affermare
che una persona che vende sesso non è un agente morale perché sta
reagendo ad un trauma emotivo mentre una persona che compra sesso è un agente morale e la sua è intrinsecamente una scelta di sfruttamento, sia che derivi da un trauma emotivo o meno.
Il lavoro sessuale richiede la mercificazione
del proprio corpo e l’accettare un aumento delle possibilità di rischi
fisici, ma lo stesso avviene ad un giocatore di football professionista.
A differenza delle sex worker, non trattiamo i giocatori di football
come vittime, anche quando la scelta di diventare un atleta è stata la
conseguenza dell’avere poche altre competenze spendibili sul mercato.
La
distinzione tra la scelta di vendere sesso e la scelta di vendere
abbonamenti stagionali si basa su una visione puritana del sesso come
qualcosa di sporco. Anche se le/i lavorator* di entrambe le professioni
mercificano il proprio corpo per il divertimento altrui, la società
approva la decisione di vendersi in campo sportivo, ma denuncia la
decisione di vendersi per sesso e chiama questa scelta degradante. Francamente una definizione davvero offensiva. Nessuna scelta fatta da
una persona per sostenere se stess* o la propria famiglia, senza
danneggiare altr*, è degradante.
Le vittime di tratta, a differenza delle sex
worker o dei giocatori di football, non hanno scelto di mercificare il
proprio corpo e correre perciò gli eventuali rischi; i loro aguzzini
hanno scelto per loro. La mancanza di scelta da parte della vittima, non
la natura dell’industria del sesso è ciò che le rende vittime e
necessita di intervento; queste persone non sono “sex worker” perché il
sesso senza il consenso è stupro e il lavoro senza consenso è schiavitù.
Chiamare le vittime di tratta sex worker o prostitute mina la gravità
della violazione nei loro confronti, così come mina l’autodeterminazione
delle persone, uomini e donne, che lavorano volontariamente
nell’industria del sesso.
(Articolo originale di Erin Whiting tradotto da feminoska)
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