lunedì, settembre 19

induzione alla prostituzione




Resa pubblica la sentenza del 27.07.2016 che attribuisce ad una meretrice l' obbligo di pagare le tasse sulla sua attività di "libera profesionista".

Prima di riportare il post integralmente mi preme specificare che la famosa legge Merlin punisce non l' uso del corpo per ottenere benefit in denaro ma lo sfruttamento dell' altrui corpo.
Nell' ampiezza dell' accezione sfruttatori potevano essere sia i papponi che i clienti usufruitori, da qualcuno defniti finali.
Con questa sentenza ed altre la Cassazione non solo chiarisce entro quale recinto interpretativo deva essere compresa la parola sfruttamento, escludendo chi paga per fare sesso, ma rimarca che senza terzi intermediari il sesso a pagamento è lecito e non è reato.

Se vendo un prodotto o meglio un servizio, su cui si pagano le tasse, onde ragion per cui attività ritenuta ipso facto regolare, non è più possibile ritenere coloro che usufruiscono soggetti che commettono reato.

Come non commette reato chi affitta appartamenti a coloro che svolgono tale attività, sempre che non speculino alzando i fitti oltre il normale andamento di mercato. 

Ovviamente la sentenza, come altre, chiarisce sempre meglio che l' unico aspetto che manca è quello che tutela le e i prostituti. Non domentichiamo che esiste un mercato al maschile. Insomma la solita foglia di fico per nascondere la questione pruriginosa.

Purtroppo l' Europa in questo non aiuta, con una sentenza riportata nell' articolo del 2001 sancisce che sia il giudice a valutare caso per caso se sia una prestazione di servizio rientrante nell' alveo delle attività economiche.

Buona Lettura




Le prostitute devono pagare le tasse? Torna una questione ormai storicamente dibattuta: da quando esiste il “mestiere più antico del mondo” c’è qualcuno che punta il dito contro le prostitute che evadono le tasse. Questo nella pratica spesso è innegabilmente vero anche se, a ben vedere, la legge sul punto prevede l’opposto. Per la Cassazione infatti la prostituzione, dal punto di vista fiscale, è assimilabile al lavoro autonomo se viene svolta in forma abituale, mentre rientra nella categoria dei “redditi diversi” se viene svolta, sempre autonomamente, ma in forma occasionale. Il parametro dell’abitualità incide anche sui criteri di applicazione dell’IVA. Ad “incastrare” la donna costretta dalla Cassazione a pagare le tasse, è stato un tenore di vita decisamente al di sopra dei guadagni dichiarati: auto di lusso, appartamento intestato, contratti di locazione a suo nome e dieci conti correnti attivi oltre a gestioni patrimoniali. Contro l’avviso di accertamento da parte dell’Agenzia delle Entrate, la donna ha proposto ricorso sostenendo la non tassabilità dei redditi accertati in quanto provento dell’attività di prostituzione dalla stessa esercitata.


Nel dispositivo della sentenza della Cassazione n. 15596 del 27.7.2016 si legge che “la natura reddituale attribuita ex lege ai proventi delle attività illecite, con la conseguente tassabilità quali “redditi diversi”, comporta, a maggior ragione, che venga riconosciuta natura reddituale all’attività di prostituzione, di per sé priva di profili di illiceità (costituendo invece illecito penale ogni attività di favoreggiamento o sfruttamento della prostituzione altrui a norma dell’art.3 della legge 20.2.1958 n.75), attività parzialmente tutelata dallo stesso ordinamento civile che comprende la prestazione sessuale dietro corrispettivo nella categoria della obbligazione naturale, la quale, se non consente il diritto di azione, attribuisce alla persona che ha svolto l’attività di meretricio il diritto di ritenere legittimamente le somme ricevute in pagamento della prestazione ( art.2035 cod.civ.)”.
Peraltro l’assoggettamento a tassazione dell’attività di prostituzione è stata confermata anche a livello comunitario dalla Corte di giustizia delle Comunità Europee con la sentenza del 20.11.2001, causa C-268/99, in cui è stato affermato che « la prostituzione costituisce una prestazione di servizi retribuita la quale rientra nella nozione di attività economiche», e che «spetta al giudice nazionale accertare, caso per caso, se sussistono le condizioni per ritenere che la prostituzione sia svolto come lavoro autonomo», ossia al di fuori di fenomeni di induzione, costrizione o sfruttamento della prostituzione altrui. (i cui proventi, prima ancora che assoggettabili ad imposta, sono interamente confiscabili quali provento di reato a norma dell’art.240 comma 1 cod. pen).

Nonostante tutto alcuni amministratori locali cercano di aggirare le norme sia nazionali che transnazionali con multe a clienti e prostitute, anche se ci sono significativi aggiornamenti sui poteri dei sindaci


Fonte notizia investire oggi


2 commenti:

  1. Anonimo07:43

    è un bel dilemma...pagare o non pagare...essere libere in strada o riconoscersi in case chiuse...bel dilemma resta il fatto che lo sfruttamento per conto terzi come schiavitù sicuramente non deve esistere...!! grazie amore baci baci baci sempre debitrice per le particolari e sociali letture !!

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