giovedì, febbraio 5

Epoca Transgender







L'articolo che presento scritto in una rubrica del Corriere della Sera 27esima ora di Elena Tebano offre uno spaccato interessante sull' apertura del mondo dell' intrattenimento, dell' informazione e della cultura sulla vita dei transgender.

Buona lettura e alla prossima, con qualcosa scritto di mio pugno.




Prima la copertina di Time dedicata a Laverne Cox, attrice transessuale protagonista di «Orange is the new Black», serie cult di Netflix. Poi la notizia che l’amministratrice delegata più pagata degli Stati Uniti è una donna trans, Martine Rothblatt, fondatrice dell’azienda farmaceutica United Therapeutics. Infine il clamoroso successo ai Golden Globe di «Transparent», serie prodotta e distribuita da Amazon che racconta la transizione dell’attempato padre di famiglia Mort in Maura (tratta dalla storia vera del padre della regista Jill Soloway) e il presidente Obama che per la prima volta nel discorso alla nazione ha citato anche i transgender. Nell’ultimo anno l’America e il mondo hanno «scoperto» le persone trans. E insieme che la definizione classica di «transessuale»  è ormai diventata troppo stretta.

Abituati a dare per scontata la separazione netta tra maschio e femmina (di che sesso è? è la prima domanda che si pone quando nasce un bambino), ci troviamo di fronte a una generazione che invece mette in discussione proprio quella distinzione. Non solo rivendicando, come fa da tempo il movimento transessuale, la possibilità di passare da un genere all’altro, diverso da quello del sesso biologico «assegnato» alla nascita.

Ma anche rifiutandosi di appartenere a un genere o all’altro: il New York Times di ieri dedica un lungo articolo alla storia di Rocko Gieselman, 21enne matricola dell’Università del Vermont che si definisce «transgender» e «genderqueer» (espressione che si potrebbe tradurre con «trasversale ai generi» e gioca con la parola «queer», un concetto molto ampio che indica tutti coloro che non sono etero).  Rocko – femmina alla nascita e attualmente in una relazione con una donna – rivendica infatti di appartenere a un terzo genere «neutrale» e vuole che per sé venga usato un pronome né femminile, né maschile, ma plurale senza genere: «they», cioè «loro» (impresa per altro impossibile in italiano, dove si declina sempre il genere).

«Ogni volta che mi chiamavano “lei”, al femminile, scattava qualcosa nella mia testa. Proprio non mi tornava – racconta Rocko –. Ho provato per un periodo a vivere da ragazzo: mi fasciavo il seno e mi facevo chiamare Emmet». Ma anche quello non ha funzionato. «Appena ho scoperto l’identità genderqueer, ho pensato: “Allora è questo!”. Prima di allora era davvero difficile spiegare agli altri come mi sentivo, e persino spiegarmelo nella mia testa. Improvvisamente c’era una parola per dirlo e ho potuto cominciare il mio viaggio».

Potrebbe sembrare una bizzarria personale, se non fosse che l’Università del Vermont ha riconosciuto a Rocko l’uso del pronome «they». Sono circa un centinaio le università americane che permettono ai loro studenti di scegliere il genere e il nome che li definisce meglio, anche se non è quello scritto sui loro documenti. Succede anche in Italia, dove gli atenei di Urbino, Torino, Bologna, Napoli e Padova prevedono un doppio libretto, ma solo per gli studenti in attesa di riattribuzione di genere, di fare cioè l’operazione per il cambio di sesso.

Aiuta a evitare gli equivoci suscitati da studentesse che devono esibire agli esami documenti maschili, o studenti con barba (perché magari hanno già iniziato la terapia ormonale), che invece all’anagrafe risultano femmine. L’adozione del terzo genere in Vermont è però un vero e proprio passaggio di paradigma. Anche se non è nuova nella storia: sia i nativi americani che la cultura indiana lo riconoscono, rispettivamente con le figure tradizionali dei «Due Spiriti» e degli «hijra».
I transgender rifiutano il modello medicalizzato che informa ancora la legge italiana sul transessualismo. Approvata nel 1982, si basa sull’assunto della disforia di genere (un «disturbo» in cui una persona ha una forte e persistente identificazione nel sesso opposto a quello «biologico»), e ritiene che possa essere «curata» chirurgicamente, ricostruendo con una serie di operazioni il «sesso» elettivo. Su questa base, prevede che per poter cambiare genere sui documenti le persone trans debbano sottoporsi a sterilizzazione forzata: un obbligo che una parte crescente del movimento trans denuncia come una violenza inutile (e dannosa per la salute). Sempre su questa base, le transessuali italiane hanno discusso a lungo se fosse meglio che la disforia di genere fosse classificata come malattia o «malattia rara», in modo da poter accedere ai benefici di legge previsti per questa categoria.

Persone come Rocko, invece, tutto si sentono fuorché malate. E spesso si trovano a proprio agio nel corpo che si sono ritrovate alla nascita. Semplicemente sono convinte che l’identità di genere non sia un sistema binario che oppone maschio e femmina, ma uno spettro continuo, in cui c’è spazio per molte identificazioni, e in cui entrano in gioco molti fattori: dall’anatomia, ai cromosomi, agli ormoni al sentimento di sé. Come nel caso di Unique: adolescente transgender tra i protagonisti del telefilm per ragazzi Glee. Un’idea con cui concordano ormai anche molti studiosi.
Unique, personaggio transgender del telefilm Glee

D’altronde anche la scienza e la medicina sono incapaci di porre una distinzione netta tra «maschio» e «femmina»: non forniscono indicazioni certe né la conformazione dei genitali che possono essere diversi da quelli del sesso genetico, oppure non nettamente distinguibili (gli intersex, ciò che un tempo veniva chiamato ermafroditismo e che oggi la Germania riconosce come terzo genere), né i livelli ormonali, né la composizione dei cromosomi. Un neonato su tredicimila, per esempio, soffre di sindrome da insensibilità agli androgeni: il suo organismo, cioè, non risponde al testosterone, e quindi sviluppa caratteri sessuali femminili (seno e vagina) anche se ha cromosomi maschili XY.

Quello che è certo è che sono saltati assunti ritenuti finora irrinunciabili: la separazione netta maschi/femmine – che doveva poi determinare il desiderio e l’attrazione sessuale secondo un codice ritenuto naturale – si sta disperdendo in varie e multiformi possibilità identitarie. E sempre più persone si sentono libere di determinare per sé chi sono e da chi si sentono attratte, fuori dagli schemi precostituiti






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