Difficilmente consiglio un libro prima di averlo letto, lo faccio per diverse ragioni, mi offre la possibilità di riportare una lunga intervista dell'autrice, la trama è interessante, la scrittrice brilla per originalità, per cui ne parlo prima di farmi una valutazione personale, casomai riprendendo il discorso dopo il suo acquisto.
Comunque confido sull'autrice di "Porci con le Ali" di saper bene rappresentare il racconto di due persone ormai giunte al termine della propria esistenza, ma che perdurano nel loro bisogno di amarsi ed apparire del tutto controcorrente, dato che la vecchiaia da come viene rappresentata in particolar modo dai mezzi di comunicazione è un tabù più grande della morte, più grande del sesso.
Come se fosse appannaggio esclusivo dei giovani sapersi scambiare effusioni e carinerie.
Il nuovo romanzo della Ravera è incentrata su una donna, Iris De Santis, e il dottor C., uno psicoanalista che ha lo studio nel suo stesso palazzo a Roma. Tutti e due alle soglie degli ottant’anni, con amori importanti alle spalle, decidono di vivere il sentimento che li attira l’una verso l’altro, anche se la malattia sembra accorciare ulteriormente i tempi.
Bompiani (pagg. 366, euro 18).
INTERVISTA
Però ha dovuto immaginare una protagonista ben più vecchia di lei...
«Ho provato a immaginare quello che mi sta davanti. Forse un giorno anch’io avrò 79 anni come Iris. E allora mi sono chiesta: dal momento che la vita si sta allungando, perché accettiamo che non sia completa fino alla fine? Censuriamo noi stessi con il divieto di di amare e essere amati».
Le donne non smettono mai di cercare l’amore?
«Smettono di cercare l’amore solo quando si vivono come esseri repellenti. Quando non credono più di poter innescare il desiderio».
La sua Iris prova quasi a fermare il tempo...
«Ma siamo un po’ tutti così. Cerchiamo di restare in sella fino a quando è possibile. Poi, però, dobbiamo accettare che la bellezza cambi. Se adesso siamo circondati da mostri, che si martirizzano con la chirurgia plastica, è perché la bellezza femminile è legata all’immagine di una ragazza. Giovane».
Per gli uomini non è così?
«No, loro sono più abili. O più fortunati. Agli uomini viene concesso di non essere più freschi, graziosi. Invecchiando, diventano simpatici, intelligenti, ricchi, potenti. E vengono premiati ancora dallo sguardo delle donne».
Quando scrive, che rapporto ha con i suoi personaggi?
«Sono abituata a obbedire ai miei personaggi. Non sono così presuntuosa da portarli . dove voglio io. Iris, per esempio, mi ha suggerito la sua grande simpatia per la nipote Melina. Anche se si è rifatta le labbra».
Lei non scrive libri a raffica. Come mai?
«Sono come un pescatore: aspetto che i fantasmi che mi abitano prendano corpo. Non si può chiudersi in una torre d’avorio, per motivi bassamente alimentari, e scrivere libri anche se non hai niente da raccontare».
Le librerie sono piene di romanzi così...
«Sì, ma sono libri inerti. A volte scritti da gente brava, che se avesse aspettato un po’ di più sarebbe riuscita a lavorarli meglio».
E lei come ha risolto i suoi problemi alimentari?
«Ho scritto per i giornali, ho fatto sceneggiature. Mi arrangio. La letteratura, per me, è un territorio misterioso con cui devo trovare una sintonia. “Piangi pure”, ad esempio, l’ho scritto con fatica. Mi sono fermata un sacco di volte, avevo paura di non farcela».
Di cosa aveva paura?
«Di scivolare verso una storia consolatoria. Di risultare falsa, o fare pornografia dei sentimenti».
Quando un’idea diventa romanzo?
«Fino a metà, devi avere dei muscoli da facchino. Trascinare avanti la storia, i personaggi, che sembrano puntare i piedi. Poi sono loro che ti prendono per mano. Si fanno carico di te, ti accompagnano».
Quante volte le hanno chiesto “Porci con le ali 2”?
«Spesso, soprattutto all’inizio. Ma siccome il successo non è l’obiettivo della mia vita, hanno smesso di insistere».
La scrittura per lei è...
»Tutta la mia vita. Ho passato anni seduta su una sedia a scrivere».
Ha provato a capire l’enigma di Erika e Omar nel libro “Il freddo dentro”...
«Ricordo perfettamente: era il febbraio del 2001. Stavo facendo la doccia nella mia casa di allora. In camera da letto c’era la tivù accesa e stavano dicendo che le indagini puntavano su degli immigrati. Io ho guardato il viso di questa ragazza che sbucava dalla casa e ho pensato: “Ha ammazzato lei mamma e fratello”. Un paio di giorni dopo è arrivata la conferma».
E poi?
«Ho provato a capire perché quella storia mi turbasse tanto. Semplice: c’erano dei punti di contatto tra me e Erika. Anch’io avevo avuto un pessimo rapporto con la famiglia. Papà ingegnere, mamma casalinga in Piemonte. Una formale amicizia dietro cui covava un rapporto difficile. Era il ’68, allora al massimo scappavi di casa. Adesso prendi i genitori a coltellate».
Un libro sofferto?
«Quando hai letto le 400 pagine di dialogo tra Erika e gli psichiatri, è impossibile non soffrire. Quel silenzio terribile tra lei e la madre...».
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Fonte intervista Lidia Ravera
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